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Opendream, la parola agli artisti: Fabrice Hyber, Marina Óáz, Ivano Troisi e Federica di Carlo

By 15 Novembre 2019 No Comments

Fabrice Hyber, vincitore del Leone d’Oro alla 47esima Biennale d’Arte del 1997, indaga i legami profondi che connettono vita e natura, quei legami che talvolta sfuggono al grande pubblico. Quando è arrivato nell’ex fabbrica Pagnossin ha trovato un ambiente asciutto, secco, ma era sicuro che da qualche parte, sotto, ci fosse ancora l’acqua. E l’ha trovata, era solo stata coperta. Fra gli edifici, ha individuato i pozzi artesiani usati per la produzione delle ceramiche e ha deciso che non dovevano essere nascosti e dimenticati, ma valorizzati e collegati fra loro. E poi voleva mostrare anche gli altri artisti presenti con le loro installazioni, in un grande disegno che unisse i diversi punti, una mappa per leggere questo spazio. Perché l’enorme pavimento di un luogo è come un foglio da disegno, visto dal cielo.

Per farlo, ha deciso di usare un materiale caratteristico della modernità: la vernice per la segnaletica stradale a terra, dando una dimensione poetica ad uno strumento tanto specifico. Nasce da qui Links, la sua opera per Opendream. Un fluire di linee colorate, bianche, rosse, gialle e blu, che ci guidano attraverso i fabbricati di mattoni rossi, creando un percorso tra le opere e i pozzi. In fondo, il flusso organizzato dalle installazioni artistiche e dal pubblico che si muove tra l’una e l’altra, è simile al flusso dell’acqua.

Per Hyber, che fin dagli anni ottanta si adopera per favorire una stretta collaborazione tra artisti e imprenditori, è necessario attraversare e allineare i territori, creare, fare. E bisogna anche trasformare i collezionisti, in particolare i leader aziendali, in produttori d’arte. L’imprenditore che voglia far rinascere un luogo, deve portare l’arte nella propria impresa, coinvolgerla nei progetti artistici, in modo che il suo sogno vada avanti, non rimanga semplicemente un fattore decorativo. Perché c’è molto lavoro da fare per riportare alla vita un luogo, ma, fortunatamente, la vie est cachée, il faut jusqu’à la révéler.

La Residenza è per un’artista un modo per immergersi in un contesto culturale diverso dal proprio, e un’opportunità di contaminazione e rinnovamento per il luogo che la ospita. I tre giovani artisti protagonisti nell’ex fabbrica Pagnossin, sono stati scelti per la loro sensibilità rispetto alla rigenerazione dei luoghi, al riuso delle risorse del territorio e alla conservazione del patrimonio culturale, sociale e produttivo.

Marina Óáz, considera l’arte un modo per comunicare, cambiare la mentalità, far riflettere. Per lei, ingegnere industriale, il voler creare qualcosa di diverso da ciò che già esiste è una strada che tutti dovrebbero percorrere, perché il pensiero di un artista può portare innovazione in tutti i campi e contribuire al cambiamento sociale. Da sempre appassionata di ceramica, ha riportato in vita i vecchi stampi, dandogli colore e una nuova funzione, in omaggio alle persone che hanno lavorato in questo luogo.

Ivano Troisi pensa che fare l’artista sia un lavoro come un altro, ma che comunque ci nasci. Per lui è importante studiare, osservare la natura, viverla e starci dentro. E poi c’è la bicicletta. Il piacere di conoscere i luoghi che lo ospitano esplorandoli sulle due ruote lo ha portato da Treviso a Jesolo, seguendo il fiume. L’acqua è il legame tra i suoi ultimi lavori, quella stessa acqua che scorre nel sottosuolo della Pagnossin, il cui riverbero ha voluto ricreare.

Per Federica Di Carlo fare arte è un atto di responsabilità, è un urgenza vitale, l’arte trova un senso se produce coscienza, bellezza, consapevolezza. Da sempre indaga i fenomeni fisici e il loro perché. Lavora spesso con gli scienziati, per capire meglio ciò che la colpisce e trasformarlo in qualcosa di poetico con l’arte. L’ex fabbrica l’ha appassionata come archeologia sospesa: la sua storia, il processo all’interno dei forni. Solidità e fragilità, la ceramica come l’essere umano. Una storia rappresentata da una frase.

 

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